Punire gli animali per aver violato la legge è un uso antico di cui si trova testimonianza nella Bibbia. Si legge infatti in Esodo: “Se un bue colpisce a morte un uomo o una donna, deve essere lapidato”. Ma non sono stati solo i quadrupedi a trovarsi in difficoltà con la legge. La categoria dei rei include mosche, talpe, bruchi, locuste e persino una capra russa, che fu esiliata in Siberia alla fine del XVII secolo. Il primo processo di animali documentato avvenne nell’anno 864, quando la Dieta di Worms decretò che uno sciame di api, che aveva provocato la morte di un uomo, dovesse venire ucciso col fumo. Nel 1639 un cavallo fu condannato a morte, in Francia, per aver rovesciato di sella e ucciso il suo cavaliere e nel 1471 a Basilea, in Svizzera, un gallo fu dichiarato colpevole di aver deposto un uovo che costituiva “una sfida delle leggi di natura”. Fu condannato a morte e arso sul rogo come “un diavolo sotto mentite spoglie”.
Nel Medio Evo, i maiali vagavano liberi nelle strade dei villaggi francesi:un’autonomia di cui sembra che a volte abusassero, attirandosi le ire dei solerti custodi delle legge. Un maiale fu impiccato nel 1394, in Normandia, per aver mangiato un bambino. Una scrofa e i suoi sei porcellini furono accusati di un crimine analogo nel 1547. La scrofa fu giustiziata, ma si risparmiarono i piccoli per la loro tenera età e “per il cattivo esempio dato dalla madre”. Il processo ad un orso che aveva devastato alcuni villaggi tedeschi nel 1499 venne differito di qualche settimana per un cavillo legale inventato dall’avvocato difensore, e cioè il diritto dell’animale a essere giudicato “dai suoi pari”, ossia da una giuria composta da altri plantigradi. Una delle più strane sentenze fu quella pronunciata contro alcune talpe a Stelvio, in Nord Italia, nel 1519. Le talpe erano accusate di danneggiare i raccolti “con i loro scavi, che impediscono all’erba e agli ortaggi di germogliare”. Venne imposto alle talpe “di giustificare la propria condotta, adducendo motivi di esigenza e di bisogno”. Siccome però gli animali non si presentarono in tribunale, vennero condannati all’esilio. Tuttavia i giudici, nella loro misericordia, promisero loro un salvacondotto e aggiunsero due settimane di tolleranza per le talpe che risultassero gravide e per quelle “ancora in infanzia”.
I processi agli animali venivano condotti secondo la normale procedura legale e alcuni avvocati si fecero una reputazione in qualità di difensori di quegli inconsueti accusati. Bartolomeo Chassenèe, un avvocato francese, raggiunse la fama grazie alla sua abile difesa di alcuni topi che avevano distrutto un raccolto di orzo, nel 1521. Quando i suoi clienti non si presentarono in aula, egli argomentò con successo che la citazione non era valida: avrebbe dovuto essere estesa “a tutti i topi del distretto”. E quando un’ulteriore citazione rimase ignorata, Chassenèe sostenne “che una torma di gatti ostili”, appartenenti ai contadini accusatori, intimidivano i suoi clienti, e pretese una cauzione in denaro che garantisse che i gatti non avrebbero molestato i topi mentre si recavano in tribunale. L’accusa rifiutò di pagare questa cauzione e il caso fu lasciato cadere. Gli animali sono comparsi in tribunale non solo come imputati,ma anche come testimoni in processi criminali. In Savoia, nel XVII secolo, si pensava che Dio avrebbe concesso la parola a un animale o a un uccello, piuttosto che permettere che un omicida sfuggisse alla giustizia. Così, se un uomo accusato di aver commesso un delitto nella propria casa giurava sulla sua innocenza di fronte agli animali domestici, e questi non protestavano, veniva rilasciato. Uno dei più strani casi di animali alle prese con la legge si ebbe – ca va san dir – proprio in Italia, nel 1659, quando alcuni vermi vennero citati in tribunale sotto l’accusa di violazione di proprietà e danneggiamenti. Una copia della citazione fu inchiodata a un albero in ciascuno dei cinque distretti in cui i danni si erano verificati. Agli imputati fu imposto di rientrare nei boschi e astenersi dal danneggiare i raccolti. Il tribunale concesse imparzialmente ai vermi il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità, a patto che la loro condotta “non distruggesse o menomasse la felicità degli uomini”. Circa cinquanta anni dopo, una comunità di monaci francescani dello stato brasiliano di Maranhão accusò le termiti di divorare le provviste e di danneggiare il mobilio. Quando venne chiesto di dare spiegazioni della loro condotta, le termiti ebbero assegnato un legale che tenne un’eloquente arringa in loro difesa. L’avvocato rammentò che le termiti erano state le originarie padrone di quella terra e aggiunse che la loro operosità faceva vergogna ai monaci. Dopo varie udienze, il giudice arrivò ad un verdetto di compromesso, che fu letto ad alta voce davanti ai monticelli delle termiti. Entrambe le parti dovevano impegnarsi a tenere buona condotta: le termiti avrebbero smesso d’infastidire i monaci, mentre questi ultimi non avrebbero molestato gli animali “residenti”. Se la sentenza è stata rispettata, però non lo sappiamo…
I processi d’animali sono sopravvissuti in Europa fino al Novecento. Il più recente ha avuto luogo in Svizzera nel 1906, quando due fratelli e il loro cane sono stati giudicati per assassinio. Gli uomini sono stati condannati all’ergastolo. Il cane è stato messo a morte. Ancora nel 1974, un cane è stato processato in Libia per avere morso una persona: condannato a un mese di carcere a pane e acqua, l’animale ha scontato la pena ed è stato regolarmente rilasciato.
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