La Legge 7 agosto 1990 n. 241, non ha semplicemente costituito una efficace soluzione ai problemi cagionati dall’assenza, nell’ordinamento nazionale, di una normativa generale sul procedimento amministrativo, ma, su di un piano metagiuridico, ha simboleggiato la definitiva scomparsa dello Stato autoritario – che non ha cittadini, ma sudditi – e la piena affermazione dello stato democratico, così come tratteggiato nella Carta Costituzionale.
La legge de qua, modificata prima dalla L. 537/1993 e in seguito dalla L. 340/2000, ha subito, pel mezzo delle modifiche e integrazioni introdotte dalla L. 15 del 11 febbraio 2005, un vero e proprio restyiling, che, nelle intenzioni del Legislatore, dovrebbe trasformare la L. 241/1990, da legge sul procedimento amministrativo, in legge sul provvedimento amministrativo.
Lasciando da parte mere operazioni di maquillage normativo, quali la attribuzione di apposita rubrica a tutti gli articoli della legge in parola, che, nella versione originaria, si limitava ad indicare solo i titoli dei vari Capi nei quali la stessa si articolava, passiamo ad analizzare il contenuto degli articoli più significativi della “nuova” L. 241/1990.
In linea di massima, possiamo affermare che il nuovo articolato, da un lato contiene norme volte a positivizzare gli orientamenti giurisprudenziali maturati negli ultimi anni nel campo del diritto pubblico, dall’altro, norme tese a rendere ancora più paritario il rapporto tra i cittadini e lo Stato.
L’art. 1 della legge, si colloca in questa ultima categoria di norme. Dopo la affermazione che l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficacia, trasparenza, il comma 1 bis prescrive che: ” la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. Il successivo comma 1 ter aggiunge: ”i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1”.
La disposizione sopraccitata ha suscitato differenti reazioni in dottrina.
Parte di essa, ad esempio Satta, ha fatto rilevare come disporre in una legge che la P.A., nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato, equivale a dire che essa è svincolata dalla regola dell’interesse pubblico, potendo così perseguire interessi propri , alla stregua di un qualsiasi quivis de populo.
Altra parte della dottrina (tra tutti, Virga), ha invece dato una lettura minimalista della disposizione de qua, negandogli qualunque effetto rivoluzionario, atteso che non è stato mai posto in dubbio che l’Amministrazione possieda anche una capacità di diritto privato e che, in tal caso, si debba applicare la disciplina prevista dalle norme civilistiche.
Tale orientamento appare maggiormente condivisibile, atteso che l’art. 11, comma 4 bis prevede che, anche quando la P.A. agisce in maniera paritetica, attraverso la stipulazione di accordi tra privati, essa non può prescindere dall’adottare, in via unilaterale ed autoritativa, una delibera autorizzativa.
L’art. 2, comma 5 della legge prevede che:” decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3 (NDR. per la conclusione del procedimento), il ricorso avverso il silenzio, ai sensi dell’art. 21 bis della legge 1034/71, e successive modificazioni, può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente fin tanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 o 3. E’ fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.
L’articolo su esposto rientra tra quelli con cui il Legislatore ha inteso positivizzare determinati orientamenti giurisprudenziali; nel caso di specie, viene positivizzata la tesi (peraltro non univoca) che sottolinea la superfluità della preventiva diffida ai fini della formazione del silenzio, atteso l’obbligo generale per la P.A. di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro un termine preciso.
L’ art. 6, comma 1, lett. e, stabilisce che: “ l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale. Anche in tal caso si tratta del recepimento di un indirizzo giurisprudenziale.
Particolarmente innovativo è il testo del nuovo articolo 10 bis, secondo cui:”Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.
La norma presenta alcune zone d’ombra: per un verso non si comprende la ragione di rafforzare le garanzie procedimentali della comunicazione e della partecipazione, rispetto a quanto già previsto e riconosciuto nel precedente articolo 10. Per altro verso, non è chiara la ragione che ha portato a restringere la portata della norma ai soli procedimenti sorti su istanza di parte e ad escludere i procedimenti concorsuali e i procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.
In tema di conferenza di servizi, il Legislatore, abrogata la norma che prevedeva la possibilità per la amministrazione procedente di concludere “comunque” il procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi ( art. 14 quater, comma 2), ha stabilito che all’esito dei lavori la P.A. procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede (art. 14 ter, comma 6 bis).
Il nuovo articolo 14 quinquies, inerente le ipotesi di project financing, prescrive poi la partecipazione alla conferenza anche dei soggetti aggiudicatari della concessione.
Particolarmente interessanti appaiono le disposizioni contenute nel nuovo Capo IV bis Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso.
Tali disposizioni, come anticipato in precedenza, trasformano – o dovrebbero trasformare – la L. 241/1990 da legge “sul” procedimento amministrativo, in legge “del” procedimento amministrativo.
In primo luogo, all’art. 21 bis, si stabilisce che sono necessariamente recettizzi i provvedimenti destinati ad incidere negativamente sulla sfera dei destinatari; nei soli casi di necessità e urgenza, la efficacia può essere immediata e non dipendere dalla comunicazione.
L’ art. 21 ter, in tema di provvedimenti amministrativi esecutori, prevede che:” Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge”.
L’art. 21 quater, comma 1, stabilisce che:” I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.
Il secondo comma dell’articolo in parola recepisce invece l’ orientamento giurisprudenziale (cfr. T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 9 dicembre 2003, n. 3441) secondo il quale sarebbe illegittima la sospensione dell’efficacia del provvedimento disposta sine die, atteso che una siffatta sospensione avrebbe equivalso ad un ritiro del provvedimento, senza le garanzie previste per l’adozione di tale provvedimento di autotutela. Recita infatti la norma: “L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.
L’art. 21 quinquies, in tema di revoca dei provvedimenti amministrativi, stabilisce che:” Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Dopo un – probabilmente – inutile articolo inerente il recesso unilaterale dai contratti della P.A. (art. 21 sexies), la legge si occupa della nullità del provvedimento (art. 21 septies), della sua annullabilità (art. 21 octies) ed, in ultimo, dell’annullamento d’ufficio (art. 21 nonies).
La nullità viene così definita: “È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
Il secondo comma dell’articolo precisa poi che le questioni di nullità dipendenti dalla violazione o dall’elusione del giudicato sono devolute alla giurisdizione esclusiva.
Tale disposizione è stata oggetto di fortissime critiche in dottrina. Si è invero fatto osservare da più parti che se i provvedimenti sono nulli quando violano o eludono il giudicato, e vanno impugnati in sede di giurisdizione esclusiva, viene de facto cancellato il giudizio di ottemperanza!
L’art. 2 octies stabilisce che: “ È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il secondo comma dell’articolo de quo, invero dalla formulazione alquanto oscura, introduce una distinzione tra vizi sostanziali e formali dell’atto amministrativo, prevedendo per i secondi una sorta di sanatoria.
L’articolo 21 novies disciplina, come detto, l’annullamento d’ufficio e prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo ex art. 21 octies, possa essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dallo stesso organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Viene fatta salva poi, al secondo comma, la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
La nuova legge introduce inoltre varie modifiche alla disciplina prevista per il diritto di accesso e la sua tutela.
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