L’ art. 116 bis cod. pen., individua il carattere mafioso di una struttura associativa criminale, nell’utilizzazione della forza di intimidazione promanante del vincolo associativo nonché della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva “per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici […].”
Tra i vari strumenti normativi adottati dal Legislatore per prevenire l’infiltrazione mafiosa nell’ambito dei pubblici appalti, ed in genere nell’attività economica della P.A., particolare importanza assume il sistema delle informative antimafia.
Il sistema delle informative antimafia è regolato, in via principale, dal D.Lgs 8 agosto 1994, n. 490 che ha sostituito alla certificazione prodotta dal concorrente – prevista dalla L. 31 maggio 1965, n. 575 – la trasmissione diretta alla Stazione appaltante, da parte della Prefettura competente per territorio, della documentazione e delle notizie rilevanti.
Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o le imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, prima di stipulare, approvare o autorizzare contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire concessioni o erogazioni, sono tenute ad acquisire presso il Prefetto competente:
Le informazioni riguardanti la sussistenza delle cause di divieto, di sospensione e di decadenza di cui all’art. 10 della L. 31 maggio 1965, n. 575 e richiamate all’Allegato 1 del decreto legislativo in parola.
le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.
Il Prefetto, entro il termine massimo di quindici giorni, comunica alle Amministrazioni richiedenti, i dati attestanti la sussistenza o meno, a carico delle imprese soggette ad indagine, delle cause che comportano l’applicazione di misure di prevenzione ovvero l’applicazione provvisoria di provvedimenti giudiziali interdettivi nel corso del procedimento aperto per l’applicazione delle misure de quibus, nonché le informazioni inerenti a tentativi di infiltrazione mafiosa volti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle aziende.
Qualora, all’esito delle verifiche effettuate dalle Prefetture, vengano riscontrate le circostanze di cui sopra, le amministrazioni procedenti non potranno stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.
Va fatto rilevare, peraltro, come l’art. 2 del D.Lgs 8 agosto 1994, n. 490 preveda che, in base ad una convenzione approvata dal Ministero dell’Interno, le prefetture possano trasmettere la documentazione sopra menzionata alle amministrazioni ed agli enti pubblici interessati, anche in via informatica o telematica.
Tuttavia, in tal caso, la P.A. interessata, non potrà adottare alcun provvedimento sfavorevole, senza un’ esplicita conferma da parte della Prefettura.
Il Legislatore è consapevole che l’efficacia della lotta alle “mafie”, dipende, in gran parte, dalla capacità dello Stato di colpire tali organizzazioni sul piano economico, utilizzando strumenti adatti a impedire alle stesse di infiltrarsi nelle attività imprenditoriali operanti sul territorio.
La normativa sopra richiamata appare funzionale allo scopo, configurando un sistema sanzionatorio a carattere cautelare e preventivo, imperniato sulla misura del divieto a contrarre.
La disciplina delle certificazioni antimafia e delle preclusioni a contrarre con la P.A., trae origine dalla normativa sulle misure di prevenzione, sia perché l’applicazione di una misura di prevenzione o di un provvedimento provvisorio adottato nel correlato procedimento giurisdizionale determinano il divieto di contrarre con la P.A.; sia perché le misure di prevenzione patrimoniale antimafia, quali il sequestro e la confisca, condividono la medesima ratio delle misure prese qui in esame.
La legislazione antimafia cosiddetta “amministrativa” realizza pertanto una prevenzione cautelare anticipata, incentrata sull’acquisizione di informazioni da parte di organi dell’Esecutivo – quali sono le Prefetture – che vengono successivamente valutate in base ad un giudizio discrezionale di tipo prognostico.
Alla luce di quanto sopra esposto, il sistema delle informative antimafia appare difficilmente compatibile con principi costituzionali quali, in primo luogo, la presunzione di innocenza (art. 27 Cost.) e la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).
La Corte Costituzionale, tuttavia, ha più volte ribadito la legittimità costituzionale della legislazione antimafia, penale e amministrativa, atteso che essa è volta alla tutela di beni di primaria importanza, quali il buon andamento, la trasparenza e l’efficienza delle PP.AA., nonchè l’ordine, la sicurezza e la libera determinazione degli organi elettivi (cfr. C. Cost., sentt. 23 aprile 1996, n. 141; 31 marzo 1994, n. 118; 27 aprile 1993, n. 197; 27 ottobre 1992, n. 407).
E’ opportuno inoltre far rilevare, che la libertà di iniziativa economica privata trova comunque un limite nell’utilità sociale (art. 41 Cost).
E’ pur vero, però, che mentre per le sanzioni penali occorre la specifica prova della provenienza del bene sequestrato o confiscato dallo svolgimento di un’attività illecita o dal suo reimpiego (cfr. Cass. pen., sez. I, 9 maggio 1988), l’applicazione della misura preclusiva di cui all’art. 4 D.Lgs 490 del 1994, viceversa, non necessita né di un accertamento definitivo ed incontrovertibile sul piano probatorio, né il verificarsi dell’evento di danno, essendo sufficiente che sussista il semplice pericolo di una infiltrazione da parte di una cosca mafiosa (cfr. C.d.S., VI Sez., 11 settembre 2001, n. 4724).
Il Legislatore, pertanto, allo scopo di ridurre l’eccessiva discrezionalità delle Prefetture, con il D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, ha indicato i presupposti in presenza dei quali può presumersi la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa:
l’adozione di provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il rinvio a giudizio, ovvero che comportano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis, 648 ter, cod. pen., o all’art. 51, comma 3 bis, cod. proc. pen.;
la proposta o il provvedimento di applicazione di una delle misure ex artt. 2 bis, 2 ter, 3 bis e 3 quater, L. 575 del 1965;
gli accertamenti disposti dal Prefetto anche ricorrendo ai poteri di accesso delegati dal Ministero degli Interni.
La necessità di porre un argine all’eccessivo potere dei Prefetti nella subiecta materia, ha poi spinto lo stesso Ministero degli Interni a emanare le circolari del 14 dicembre 1994 e dell’8 gennaio 1996, al fine di indicare, in maniera analitica, gli elementi sintomatici, oggettivamente gravi, in presenza dei quali ritenere effettivo il tentativo di infiltrazione.
Accanto alle due menzionate informative ad effetto immediatamente preclusivo, si riscontra l’esistenza di un tertium genus di informativa, denominata supplementare o atipica.
La suddetta informativa, si fonda sull’accertamento di elementi che, pur denotanti il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità mafiosa, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall’art. 4, comma 4, del D.Lgs 490 del 1994, sia perché prive di alcuni requisiti soggettivi od oggettivi concernenti le cause di divieto o di sospensione, sia perché non integranti gli estremi del tentativo di infiltrazione.
La comunicazione da parte della Prefettura di una siffatta informativa, non avrebbe quindi come conseguenza, il divieto automatico di contrarre (né la revoca del provvedimento ed il recesso dal contratto, ex art. 4, comma 6 del D.Lgs 490 del 1994), ma avrebbe solo la precipua funzione di fornire alla P.A. interessata elementi utili per l’eventuale esercizio del proprio potere discrezionale.
Ed invero, l’art. 1 septies del D.L. 6 settembre 1982, n. 629, conv. in legge n. 726 del 1982, stabilisce che l’Alto Commissario antimafia (le cui competenze, nelle more, sono state devolute ai Prefetti), può “comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni in materia di armi ed esplosivi e per lo svolgimento di attività economiche […] elementi di fatto e altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio , il rinnovo, la sospensione o la revoca delle licenze, autorizzazioni e degli altri titoli menzionati”.
L’applicazione della predetta disposizione ai contratti ad evidenza pubblica, trova un riscontro positivo nell’art. 113 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, in forza del quale “per gravi motivi di interesse pubblico o dello Stato, il ministro o l’autorità delegata per l’approvazione può negare l’approvazione ai contratti anche se riconosciuti regolari”(cfr. T.A.R. Lazio, 6 giugno 1997, n. 1248).
La giurisprudenza amministrativa ha peraltro avuto modo di far rilevare che tale potere del Prefetto “è espressione di un principio generale, che prevede una collaborazione reciproca, con correlati obblighi di trasmissioni di conoscenze, tra le pubbliche istituzioni: la collaborazione reciproca deve ispirare i rapporti tra lo Stato e gli enti locali e gli altri enti pubblici, soprattutto quando vengono in gioco informazioni collegate alla tutela della pubblica sicurezza e di preminenti interessi, come quelli incentrati nella prevenzione e repressione del crimine mafioso” (cfr. C.d.S., Sez. V, sent. 1 giugno 2000, n. 5710).
Va inoltre sottolineato come la trasmissione di notizie riservate, ma non integranti gli estremi del pericolo di infiltrazione mafiosa, per un verso, costituisca una delle forme di raccordo tra le Prefetture e le stazioni appaltanti, come previsto dal D.Lgs 490 del 1994; per altro verso, arricchisce la conoscenza dell’amministrazione interessata in ordine alla posizione ed ai collegamenti della azienda concorrente, non arrecando a quest’ultima alcun rilevante pregiudizio, atteso che, in ogni caso, le esigenze della riservatezza, in tale materia, sono subordinate alla necessità di tutelare l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza (cfr. art. 4, comma 1, lett. e) e art. 21, comma 4, lett. b), L. 31 dicembre 1996, n. 675).
Rebus sic stantibus, l’informativa antimafia atipica, benché non precluda automaticamente la stipula del contratto tra la P.A. e l’impresa aggiudicataria, consente alla prima di negare l’approvazione in base a ragioni di pubblico interesse desunte dalle comunicazioni trasmesse dalle Prefetture (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, sent. 9 agosto 2005, n. 6159).
Avv. Alfonso Emiliano Buonaiuto